Il Museo Barracco di Roma è una delle più complete raccolte di scultura riguardante le civiltà del mondo antico esistenti in Italia. Composta da circa 300 opere, la raccolta donata nel 1902 alla città dal barone calabrese Giovanni Barracco, patriota risorgimentale e senatore, rappresenta uno straordinario percorso che guida il visitatore attraverso l’arte ed il tempo. Sculture egizie, assire, cipriote, etrusche, greche, romane (spesso degne di figurare nei più grandi musei del mondo), sono esposte nel palazzetto rinascimentale della cosiddetta Piccola Farnesina, a pochi passi da Piazza Navona. Tra i capolavori del Museo si trova un reperto eccezionale: una testa di leone in alabastro. È fenicia, ma non proviene dal paese dei cedri, e nemmeno da Cartagine. Fu rinvenuta in Sardegna. Nell’isola di S. Antioco.
Giovanni Barracco era consigliato nei suoi acquisti di sculture antiche da un archeologo nativo di Praga, che da Vienna si era trasferito a Roma nel 1893: Ludwig Pollak. Divenne famoso per aver ritrovato il braccio destro del Laocoonte nel 1906. Il Pollak era stimato ed interpellato da tutti i più grandi collezionisti stranieri residenti nella città eterna. Questi ultimi erano sempre alla ricerca di reperti ed opere d’arte provenienti dagli scavi effettuati per la costruzione dei nuovi quartieri della città, da scoperte fortuite nei dintorni di Roma, o da vendite di sculture dalle antiche collezioni romane. Un antiquario piuttosto particolare era Pietro Stettiner, Ispettore generale del Ministero delle Poste. Nella sua casa con un piccolo giardino, non lontano dal Colosseo, raccoglieva monete e sculture romane. Durante i suoi viaggi di lavoro incrementava la sua collezione acquistando reperti archeologici. In Sardegna, durante un’ispezione a Sant’Antioco, passeggiando in campagna, vide con suo grande stupore una scultura in alabastro di eccezionale fattura. Domandò al proprietario (un contadino del luogo) quanto denaro volesse per cedere il reperto. L’uomo chiese in cambio un fucile a doppia canna.
Stettiner aspettava un consiglio da Pollak: lo studioso boemo, entusiasta per la rarità del pezzo, lo spinse ad acquisirlo. A sua volta Pollak comprò dall’antiquario il leone e lo cedette al barone Barracco per la sua collezione nel dicembre 1899. L’archeologo era entusiasta della scultura: “Probabilmente l’unico pezzo sopravvissuto di scultura fenicia in Italia” (così scrive nella presentazione del Museo nel 1905). La scultura, alta poco più di settanta centimetri, è una protome (rappresenta soltanto il muso e le zampe anteriori dell’animale).
Molto probabilmente il leone aveva la funzione di guardiano (assieme ad una scultura gemella) della porta di un sepolcro monumentale. A S. Antioco si trovano tombe con dromos (lungo corridoio) con più camere. Due leoni in pietra calcarea, che quasi certamente erano posti ai lati di una porta, sono conservati nel museo. Queste due sculture (simili ai leoni dell’isola di Delo) e la protome leonina, pur nella loro originalità, hanno subito l’influenza dominante del mondo greco. Per la Magna Grecia possiamo citare le gronde leonine tipiche delle architravi dei templi della Sicilia, che ovviamente era in stretto contatto col mondo fenicio-punico della Sardegna. Da non dimenticare, comunque, anche i leoni funerari tipici dell’Etruria meridionale, con esempi a Cerveteri e a Vulci. Per la datazione posssiamo ipotizzare il periodo tra la fine del V e il IV secolo avanti Cristo: una protome simile è inserita nelle mura persiane di Biblo, risalenti all’incirca allo stesso periodo. Da ricordare infine che i leoni fiancheggiano il trono della dea Cibele, la grande dea madre identificabile con Astarte fenicia. Forse un giorno riusciremo a ritrovare il luogo preciso della collocazione originaria del “leone di Sulky” e a definirne la funzione con certezza. Per ora non ci resta che ammirarlo, insieme ad altre straordinarie opere d’arte del passato, nella meravigliosa collezione di un appassionato ed ammirevole mecenate.